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lunedì 5 maggio 2008

La relazione introduttiva al CPF del 29 aprile

di Giosuè Bove

Le dimissioni

Le dimissioni del segretario provinciale penso possano favorire l'orizzontalità del dibattito e sgomberano il campo da miserie e volgarità, polemiche di basso cabotaggio che oggi rischierebbero di determinare un livello di discussione sulla tragedia come fosse una farsa.
La tendenza di lungo periodo
Il disastro elettorale de LA SINISTRA L'ARCOBALENO è frutto di mote cose. Sicuramente l'esperienza del governo e la delusione profonda delle aspettative, sicuramente il meccanismo del voto utile. Sicuramente la scelta di scommettere tutto sulla permeabilità del centro sinistra ai conflitti sociali, o ancora quella di costruire una la sinistra, saltando il pezzo del radicamento sociale e della democrazia. Ma, come anche i più critici tra di noi rispetto alla linea politica sostengono , dentro la strettoia del 13 e 14 aprile sono venuti al pettine i nodi di una tendenza di lungo periodo sulla quale hanno agito solo in misura abbastanza relativa queste stesse nostre scelte.
I tempi del dibattito
Proprio questa dimensione strategica e non congiunturale della crisi avrebbe consigliato di dare più tempo alla riflessione. Erano umanamente e politicamente comprensibili e giuste le immediate dimissioni della segreteria nazionale. Bisognava dare subito una nuova guida provvisoria che desse il segno della ripartenza, del “partito che c'è e va avanti”. Meno comprensibile mi è sembrato arrivare ad un congresso prima dell'estate, con la difficoltà di realizzare un vero dibattito dentro e attorno rifondazione. Rischia di essere interpretato come una resa dei conti e non va bene, non foss'altro perché purtroppo non è tagliando qualche testa che ce la scappottiano. Non è così semplice.
Le spiegazioni deboli
Si dice: “Siamo stati troppo poco davanti alle fabbriche e ai tanti luoghi del lavoro”. E' vero, ma dobbiamo pur dirci la verità: avevamo ben poco da dire all'insieme del mondo del lavoro. E questo non perché ci manchino le idee, quelle più moderate o quelle più radicali. No: il problema è che noi andavamo, quando ci andavamo, lì convinti di parlare, in un senso o nell'altro, alla classe, pressuponendola esistente a prescindere. I lavoratori ci ascoltavano e parlavano invece da individui. C'è un cortocircuito e non riguarda la comunicazione...ma la maledetta dura realtà dei fatti.
Si dice: “Dovevamo rompere con prodi. Lui ci ha trascinato nel pantano” E' vero, ma purtroppo, è vero solo in astratto. Quando avremmo dovuto rompere? Nel 2006, andando da soli dopo 5 anni di governo delle destre e determinando la riconferma di Berlusconi? Oppure facendo la desistenza, che avrebbe avuto un esito immediato di lacerazione? Oppure subito dopo il voto, prendendo atto che non c'era una maggioranza nel Paese e aprendo le porte ad un governo istituzionale o di larghe intese? Oppure dopo la grande manifestazione del 20 ottobre, votando contro il pacchetto welfare? Con la piccola complicazione che comunque c'era stato un referendum, che brogli o non brogli, aveva visto la partecipazione di milioni di lavoratori... Certo se avessimo avuto le spalle robuste, un forte insediamento sociale, una interlocuzione aperta per un nuovo sindacato dei lavoratori, unitario e di classe... ma appunto questo è il problema. E pure su questo ci vengo fra un attimo. E' chiaro che ingoiare tutti i bocconi amari non è stato né compreso e né accettato dalla maggioranza di coloro che ci hanno votato nel 2006... e però, nelle condizioni in cui eravamo e siamo, qualsiasi scelta sarebbe stata sbagliata... Qualsiasi scelta sarebbe stata sbagliata... non si può essere né radicali, né moderati senza un legame reale con le dinamiche sociali. E' questa relazione che non abbiamo costruito, che abbiamo rifuggito per la complessità e la durezza del compito. E non l'abbiamo costruita anche perché non abbiamo fatto i conti fino in fondo con la realtà così com'è e non come vorremmo che fosse.
I nostri errori
I nostri errori pesano, ed hanno pesato, nel dare consistenza a questo male. Tuttavia la nostra crisi dipende largamente da un processo più vasto sul quale, come soggettività politica, possiamo intervenire solo in parte. Questo non assolve nessuno, naturalmente. Perché è esattamente compito di un gruppo dirigente saper trarre dall'analisi concreta della situazione le indicazioni e le prospettive. E poi le tendenze di lungo periodo non sono il fato, una struttura immodificabile della storia. Non è indifferente, in altri termini, se ci interveniamo oppure no; come non è indifferente, proprio per fare la cosa giusta, se comprendiamo fino in fondo le caratteristiche di questo male, oppure no.
La nuova dislocazione del valore
il 13 e 14 aprile il novecento è morto un'altra volta. E qui non mi riferisco alla polemica sull'ideologia del novecento, ma piuttosto alla discontinuità economica e sociale che quel secolo al suo tramonto ha partorito.
E' proprio il novecento che da morto ci parla del suo più grande parto, della sua più importante eredità: la nuova dislocazione del valore, che ha schiacciato la quasi totalità dei lavoratori sulel condizioni proletarie, ne ha esteso la condizione soggettiva e al contempo ne ha reso difficile la ricomposizione soggettiva, il riconoscersi come classe. Non perché, come qualcuno ha sostenuto, era scomparsa la classe e c'erano le moltitudini, ma proprio al contrario, perché fondamentalmente l'altra parte, la borghesia, “non si vede più”, è sempre più impersonale, quasi un ologramma del sistema. Insomma gli operai ci sono, anzi i proletari, e costituiscono la quasi totalità dei lavoratori. Ma lo sviluppo stesso del capitalismo ha reso evanescente la calsse nemica. E di conseguenza il proletariato fatica a riconoscersi come classe. Anzi, introietta in se le stesse ragioni del sistema. Prima, nel '900 se i salari erano bassi, si percepiva subito che succedeva perché i padroni ci guadagnavano. Oggi questa percezione stenta. Nella mia azienda tutti si lamentano per l'impossibilità di vivere con 1200 euro al mese.... ma quanto alle cause e ai rimedi .... tu li senti discutere come se fossero degli industriali. E giù sul fatto che è giusto che i salari siano legati alla produttività, che occorre aumentare la ricchezza per poterla redistribuire, che con i profitti l'impresa fa gli investimenti, che per reggere la concorrenza ci vuole la flessibilità .... che in Italia si sta male perché c'è una Stato mariuolo e inefficiente, che ci sono troppe tasse per le attività economiche .... E poi se la prendono con gli zingari e gli omosessuali, invocano legge e ordine... E tu, lì a parlare di classe, ma ti capiscono in pochi, e quei pochi scuotono la testa con rassegnazione. E non è che sono tutti traditori della causa: se viene meno l'identità collettiva si resta semplici individui in balia della propria esperienza immediata. Per un operaio o per un disoccupato l'immigrato è un concorrente; e dal punto di vista culturale e psicologico, una minaccia.
E' dentro questo quadro che non solo affondiamo noi, ma di fatto anche la proposta “social-liberista” del PD: il dato elettorale è impietoso, e il risultato di Roma non fa che confermare la tendenza già chiara nelle politiche. Si apre una fase durissima: la crisi mondiale violenta e rapida già morde alle porte, con una entità ed una forza distruttrice sconosciuta in epoca post keynesiana. In Italia ci troveremo a fronteggiare quella crisi, che indebolirà ulteriormente il proletariato, e una politica delle destre che dovrà per forza di cose essere aggressiva, dura, violenta, per stroncare sul nascere proprio la possibilità del conflitto generalizzato. Come si fa allora? C'è sempre una strada, compagni, anche quando tutto sembra perduto. c'è sempre una strada ma non possiamo aspettare che venga le i a prenderci, dobbiamo imboccarla noi ...
La politica come puro governo
Il morto, il novecento – scusate la permanente dimensione macabra, ma ci tocca – ci parla anche della fine della politica come terreno di confronto e di scontro tra interessi sociali diversi e contrapposti, la fine della politica come luogo di possibile composizione temporanea della lotta di classe nella società. L'altra creatura partorita dal '900 al suo tramonto, ed in contrapposizione con la sua storia, è la politica come si presenta oggi: “puro governo”, semplice accompagnare la complessità. E così viene percepita e vissuta dalle masse popolari: il voto utile è conseguenza di questo ... un apolitica intimamente autoritaria, incapace di rappresentare in se le ragioni dell'alternativa di società. Per cui, quest'ultima, l'alternativa, non può più vivere solo come dimensione politica. che sia fuori o dentro le aule del parlamento. Anche solo per cominciarsi a muovere realmente, cioè per insediarsi socialmente, essa deve immediatamente chiamare ad una partecipazione “altra” al di fuori del sistema, con istituti di democrazia diretta che premano sulla democrazia formale ad ottenere risultati utili. ..E del resto, questa non è una cosa nuova: questo dualismo lo abbiamo conosciuto nella storia delle rivoluzioni, e cito solo l'esempio dei soviet e della Duma tra il 1905 ed il 1917. Solo che oggi si ripropone come necessità in una forma permanente e, potremmo dire, arricchita dalla intelligenza generale di cui dispone il proletariato in maniera ed in misura incommensurabilmente più grande che nel passato.
La crisi della forma partito
Dentro questa strettoia si schiaccia la stessa forma partito così come l'abbiamo conosciuta nel '900. Anche io sono convinto che sia necessario concentrare la volontà di trasformazione sociale in un partito comunista ieri, oggi e domani. Ma oggi e domani occorre essere comunisti in modo nuovo,anzitutto sul piano delle relazioni sociali, agendo per favorire dinamiche di autorganizzazione sociale e di democrazia diretta.
Ingegnerie politica
Di fronte a questo ordine di grandezza dei problemi, dicevo all'inizio, si rischia di stare nella “tragedia” come se si fosse in una “farsa” e continuare a fare le ingegnerie politiche, chi con la costituente della sinistra, nelle sue varie salse, chi con la costituente dei comunisti. Entrambe, l'una e l'altra, vivono nel cielo della politica Entrambe, l'una e l'altra, avrebbero come conseguenza la cancellazione di rifondazione, senza peraltro nemmeno intaccare il tema della linea politica, né quella ancora più di fondo, dell'insediamento sociale. Proprio, invece, l'elaborazione teorica e politica della rifondazione comunista, restata purtroppo praticamente tutta sulla carta, penso costituisca la possibilità di un nuovo inizio e di una nuova pratica.
Costruzioni sociali
Dovremmo rilanciare la linea del primato della società sulla politica e della politica sulle istituzioni. E allora negli enti locali il problema non può essere semplicemente se stare o meno in una giunta sulla base dei rapporti politici con gli altri partiti, dentro schemi asfittici e politicisti, ma piuttosto come la società che si organizza con contenuti antagonisti può rapportarsi con la nostra politica e la nostra presenza istituzionale... a parer mio questa deve essere la chiave per affrontare il rapporto con le istituzioni... Si tratta di mettere al centro di tutti i nostri ragionamenti e delle nostre pratiche il tema della costruzione dell'insediamento sociale, anche quando discutiamo di amministrazioni locali, dell'utilità sociale del nostro esserci o non esserci. Per questo propongo di confermare il mandato di assessore provinciale ad Enrico Milani e chiedo al partito di avviare un'a discussione aperta, nella direzione partecipativa e dell'autorganizzazione sociale, sulla opportunità di restare nella Giunta provinciale. Piena fiducia nel compagno, dunque e avvio del percorso di discussione generale parallelo al lavoro di insediamento sociale.
Le dimissioni
Mi fermo qui, compagne e compagni. Lascio il ruolo di segretario provinciale perché questa discussione sia la più libera possibile. Resto naturalmente a totale disposizione del partito. Perché se dovesse contenere qualche elemento di verità questa proposta analitica che ho accennato, allora significherebbe che ci aspettano anni di durissimo lavoro, a volto oscuro, paziente, senza visibilità, a volte difficile, rischioso. Ci aspetta una militanza vera, fatta di passione, di amore, di rabbia, a volte di odio. Dovremo riprendere il cammino e l'insediamento sociale, contendendo pezzo a pezzo i territori, promuovendo, sostenendo, costruendo comitati in ogni luogo di lavoro, collettivi in ogni scuola, centri sociali in ogni città; trasformando i nostri circoli in sportelli sociali, in case dei lavori, dei diritti e delle solidarietà, rimettendo all'ordine del giorno il tema di un nuovo sindacato dei lavoratori, unitario e di classe. Si compagne e compagni, rimettendo all'ordine del giorno il tema di un nuovo sindacato dei lavoratori, unitario e di classe.
E' un lavoro duro, non servono solo le chiacchiere, servono braccia e gambe. Compagne e compagni, io ci sarò. Sono pronto da subito. per un nuovo sindacato unitario e di classe, per una nuova capacità unitaria, per la costruzione di una sinistra sociale prima che politica, per l'alternativa di società, per un nuovo inizio della rifondazione comunista.

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